sabato 31 marzo 2018

Techlash #1






“Non sarebbe esagerato affermare che oggi i costumi sono
determinati e imposti quasi esclusivamente dalle cose.
I prodotti infatti hanno preso il posto dei nostri simili,
perciò se oggi abbiamo un codice di comportamento,
esso è dettato dalle cose”.


“Se avete qualcosa di davvero importante da dire, scrivetelo a mano e prendete un corriere per consegnarlo”. Così suona l’esposizione della “dottrina Trump” sulla tecnologia, fondata sull’esigenza di “fare le cose alla vecchia maniera” ed esposta circa un anno fa a Mar-a-Lago. Com’è noto, il presidente degli Stati Uniti, che di fatto vive in una eterna replica degli anni Ottanta, si nutre di televisione e ha fatto dell’uso compulsivo di Twitter una delle sue cifre comunicative. Eppure, dietro le note di colore sul semianalfabetismo tecnologico di Trump, il rapporto con la tecnologia del presidente degli Stati Uniti è distante da quello del suo predecessore Barack Obama in ciò che conta davvero: i legami con le grandi aziende tecnologiche, i giganti digitali statunitensi. 


Michael Wolff nel suo Fire and Fury riporta la telefonata tra Trump e Rupert Murdoch, dopo l’incontro del 14 dicembre 2016 presso la Trump Tower tra il presidente eletto e i principali leader della Silicon Valley. Trump telefona a Murdoch per vantarsi: “Questa gente ha davvero bisogno del mio aiuto. Obama non li ha favoriti, troppa regolamentazione. Io ho l’opportunità di aiutarli”. Murdoch lo mette a tacere con parole definitive: “Donald, per otto anni questi tizi hanno tenuto Obama al guinzaglio. Di fatto, gestivano loro l’amministrazione. Non hanno bisogno del tuo aiuto”. Il realismo dello “squalo” riprende la visione del sostenitore della campagna di Trump nella Silicon Valley, Peter Thiel. Quest’ultimo, anche per avanzare i propri interessi, ha sostenuto pubblicamente che Google con Obama ha avuto più influenza di Exxon con Bush. L’approccio caustico di Murdoch ci aiuta a leggere anche le iniziative promosse nel primo anno dell’amministrazione Trump da Jared Kushner e Ivanka Trump, in particolare il White House Office of American Innovation e l’American Technology Council, istituito con l’ordine esecutivo del 1° maggio 2017. L’American Technology Council, diretto da Chris Liddell, già direttore finanziario di Microsoft, ha pubblicato il report presidenziale sulla modernizzazione della tecnologia informatica federale. 

Il ruolo di queste iniziative è duplice. Da un lato, rispondere a esigenze pubblicitarie verso la Silicon Valley di Jared Kushner e Ivanka Trump. Dall’altro, come si evince anche dal linguaggio dei documenti pubblicati, garantire una continuità burocratica da parte degli apparati competenti sui temi tecnologici. Dopo le prime riunioni, gli incontri con i leader della Silicon Valley si sono diradati e la burocrazia ha mantenuto il controllo. La posizione dell’amministrazione Trump sui giganti digitali non è una scelta leaderistica, ma si inserisce in un processo più ampio; un passaggio d’epoca decisivo sulla percezione pubblica della tecnologia. Nel decennio precedente si è rafforzato e consolidato un buonismo tecnologico che ha messo tra parentesi il rapporto tra tecnologia e potere. Secondo questa ideologia, attori come i Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) sono intenti alla beneficenza e attraverso il loro rapporto diretto con gli utenti generano opportunità per tutti, superando i confini e le ristrettezze degli Stati. La grande onda della connessione porta in alto tutte le barche. La visione del mondo di Mark Zuckerberg, in particolare, come scrive Raffaele Danna, “colloca Facebook in una posizione molto vicina a quella dello Stato moderno hegeliano: i social network (e Facebook più di tutti gli altri) sono il risultato finale del progresso storico dell’umanità”. 

È una narrazione fragile. In realtà, la forza delle grandi aziende tecnologiche è legata strettamente alle scelte strategiche degli Stati Uniti. Inoltre, è sempre sottoposta all’intermediazione politica, attraverso la regolamentazione (in particolare l’evoluzione della disciplina antitrust) e all’influenza ottenuta con l’attività di lobbying (in cui i giganti tecnologici sono fortemente impegnati, con decine di milioni di dollari di investimenti). Inoltre, gli attori geopolitici competono per accaparrarsi la liquidità dei Gafa, di cui essi non possono disporre all’infinito. La decisione di Apple del 17 gennaio 2018 di contribuire con 350 miliardi di dollari all’economia degli Stati Uniti nei prossimi cinque anni chiarisce che, come è prevedibile, questa capacità di investimento appartiene agli Stati Uniti. Nessuno può insediare Washington su questo legame. Il compianto Alessandro Pansa ha analizzato acutamente il ruolo storico di tre corpi fondamentali della potenza geopolitica: i militari, i banchieri-finanzieri, i tecnologi. Non esiste profondità strategica senza la capacità di tenere insieme questi tre corpi per conseguire obiettivi e per presidiare gli spazi, attraverso un “complesso militare-finanziario-industriale”. L’impero americano lo sa, così come l’avversario cinese.

Esiste un pendolo tra militari, banchieri-finanzieri e tecnologi che vale la pena di analizzare. I rapporti di forza interni non sono statici. Negli Stati Uniti, ci sono segnali di un cambiamento della percezione della tecnologia, secondo dinamiche simili a quelle che hanno colpito l’ambito finanziario, che ormai sembra essere paradossalmente “riabilitato”. Il primo anno di Trump alla Casa Bianca coincide con la diffusione del neologismo “techlash”, che identifica la resistenza alla tecnologia. La politicizzazione della tecnologia esce dal suo nascondiglio e diventa palese. Per esempio, oggi appare più evidente quanto, per il successo di una realtà come Amazon, “l’abilità nelle dinamiche politiche sia altrettanto importante delle soluzioni tecniche”. Le esigenze di lobbying aumentano, perché le aziende devono salvaguardare interpretazioni della disciplina antitrust che non possano colpirle. Il peggioramento della reputazione dei giganti digitali probabilmente non è estraneo alle scelte professionali di Barack Obama, che ha senz’altro ricevuto offerte di assumere un ruolo di alta rappresentanza dai Gafa – per diventare un Al Gore della nuova era tecnologica – ma ha preferito mantenere il profilo di intellettuale-scrittore, per ora.

Sul piano sociale, la resistenza alla tecnologia in Occidente è destinata ad aumentare. La stessa rivolta che ha caratterizzato gli accordi commerciali toccherà l’impatto – vero e percepito – della tecnologia sui posti di lavoro. Esistono modalità di gestire questi processi in modo più o meno intelligente, ma non c’è modo di evitare le resistenze contro l’élite tecnologica. Qual è allora la conseguenza di questi processi? Tornando alle categorie di Pansa, il pendolo dei corpi della potenza geopolitica porta a una prevalenza dell’ambito militare, così come avviene nelle gerarchie dell’amministrazione Trump. La tecnologia viene militarizzata – o la sua militarizzazione diventa più chiara – squarciando il “politicamente corretto tecnologico”. Nella prospettiva dell’impero americano e dell’avversario cinese, il concetto di sicurezza nazionale si allarga. Come ha detto Robert Hockett, infatti, oggi la sicurezza nazionale non è legata semplicemente agli armamenti o alla protezione dal terrorismo, ma riguarda la “capacità tecnologica di lungo termine, il vigore economico e finanziario di lungo termine, la privacy nel lungo termine dei dati medici e finanziari dei cittadini, oltre che altre forme di dati”. 

La sicurezza nazionale, quindi, allarga le sue maglie per includere le nuove possibilità della tecnologia. Sbaglia chi sostiene che le curve di crescita della tecnologia siano troppo rapide e che niente possa gestirle. L’illusione, davanti a queste trasformazioni, è l’espulsione della geopolitica. Non esiste nessuna provvidenza digitale che non possa essere divorata dalla sicurezza nazionale. Una vicenda paradigmatica del primo anno dell’amministrazione Trump, da questo punto di vista, è il tentativo di Ant Financial (controllata dalla cinese Alibaba) di acquisire l’operatore di trasferimento di denaro Moneygram per 1,2 miliardi di dollari. Un anno fa, pochi giorni dopo l’incontro tra il presidente eletto e Jack Ma alla Trump Tower, l’operazione è stata definita il primo test per l’amministrazione Trump sugli investimenti stranieri. Nel corso del 2017, Ant Financial ha dovuto ripresentare diverse volte la richiesta di autorizzazione al Cfius (Committee on Foreign Investment in the United States) per ottenere la luce verde sull’investimento, che infine è stato rigettato. Questa mossa rientra nell’allargamento della sicurezza nazionale ai dati finanziari. Sebbene il Cfius, gestito principalmente dalla burocrazia del Tesoro, non sia tenuto a spiegare la ragione delle sue decisioni. È inoltre leggibile come l’opposizione a un “gigante digitale” non statunitense, ma che potrebbe sfruttare i sistemi finanziari paralleli e la loro diffusione in Asia e in Africa per le ambizioni geopolitiche di Pechino. La scelta, quindi, non è figlia della mera sensibilità di Trump. Sia nei fatti sia con una possibile modifica legislativa in materia, il Cfius risponderà sempre più a questa doppia logica: la militarizzazione della tecnologia e l’allargamento della sicurezza nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.