sabato 31 dicembre 2016

Ha da passà 'a nuttata (automazione e servitù #2)








  la tecnica, privata di una logica 
propria, adotta del tutto quella dell’economia



La peculiarità del nostro capitalistico tempo, la tecnica planetaria -la robotica, l' intelligenza artificiale- pone problemi enormi alla nostra concezione politica: l' integrazione delle classi nella rete capitalistica non presenta neanche più le vesti del atto politico ma è l' accettazione, avvertita come vacuità esistenziale, del espletamento di alcune funzionalità nella grande giostra del network. Per contro, alcuni hanno provato a pensare ai compiti rivoluzionari come alla soluzione di compiti "tecnicali". Non si tratta di riappropriarsi di qualcosa da cui basta emendare alcuni aspetti: ”La razionalità tecnica, oggi, è la razionalità del dominio stesso. E’ il carattere coatto della società estraniata a se stessa”. Come diceva un' amica, siamo 7 miliardi che lavoriamo gli uni per gli altri e non ce ne accorgiamo.

venerdì 23 dicembre 2016

L' affaire Aleppo




Due articoli per dipanare il groviglio di interessi e di cerchie di potere sovrapposte (di livelli locale, regionale e globale) che ha trovato in Aleppo il punto di messa a terra attraverso cui scaricare la tensione e misurare le strategie vincenti e quelle errate, le alleanze vecchie, quelle nuove, prima fatte, poi disfatte, poi negate. Il risultato di morte e distruzione non finirà qui. 
Siamo tutti ostaggi, dall' antichissima Aleppo alla capitale d' Europa Berlino e perfino a Mosca, di una cieca necessità di potenza che dà luogo solo a se stessa con sempre maggior furia. Farla finita con l' accumulazione, fuoriuscire dalla sua struttura generale di gestione: lo stato. ---


Il dramma di Aleppo è che i guerriglieri di Al Nusra tengono in ostaggio i civili e non intendono arrendersi alle condizioni del regime di Damasco. A loro volta le truppe di Assad non esitano a bombardare a tutto spiano anche i civili. Gli iraniani non vogliono mollare i jihadisti di Aleppo se non in cambio della fine dell'assedio degli sciiti di Fuaa e Kefraya nell'area di Idlib. La Russia e la Turchia (che con l'Iran si troveranno a Mosca il 27 dicembre) fanno finta di negoziare per salvarsi reciprocamente la faccia: Putin non vuole passare come il macellaio di Aleppo ed Erdogan deve farsi perdonare di avere mollato i jihadisti che ha sostenuto fino a ieri contro Assad prendendo i soldi delle monarchie del Golfo. Gli Stati Uniti ad Aleppo si erano impegnati a separare la sorte della guerriglia dei jihadisti di Al Nusra dalle altre formazioni ma avendo sostenuto anche i qaidisti in funzione anti-Assad hanno molto da nascondere e poco da dire di fronte alla sconfitta. Quasi ne uccide più l'ipocrisia che le bombe. (A.Negri-Sole24ore-15 dic)


domenica 18 dicembre 2016

La visione del mondo di Palantir







Gli equilibri di potenza nella Silicon Valley parrebbe si stiano muovendo, a seconda che sia stata vinta o persa la scommessa sul nuovo presidente. Assurge alle cronache la maschera di Peter Thiel (nella foto subito alla sinistra di Trump, Tim Cook più distante), co-fondatore Pay-Pal, investitore in Facebook e fondatore di Palantir Technologies, uno dei grandi finanziatori della campagna elettorale di Trump che sembra ben disposto ad ascoltarlo per quanto riguarda il rinnovamento dell' apparato tecnologico militare. Un tipo di deal abbastanza consolidato tra politica e economia. Le vie del businnes sono infinite, tranne che si scontrano con le proprie premesse: "le promesse occupazionali del presidente eletto non possono essere mantenute dai giganti della tecnologia: il loro modello di affari non si basa su una simile creazione di posti di lavoro diretti."---


All’inizio di aprile 2014, John Podesta, futuro presidente della campagna di Hillary Clinton, scrive a Robby Mook, futuro campaign manager. In copia Cheryl Mills e David Plouffe, già nella squadra di Hillary e Obama. L’argomento della mail – una delle migliaia rese disponibili da WikiLeaks – è l’incontro con Eric Schmidt, direttore esecutivo di Google (oggi Alphabet). Secondo Podesta, Schmidt è entusiasta («è pronto a trovare fondi, dare consigli, trovare persone di talento»), vuole essere riconosciuto come «capo consigliere esterno», ma rispetta la struttura della campagna che va formandosi. 

domenica 11 dicembre 2016

Exit strategy -la fantomatica coscienza di classe #10






 A seguire le parole in parte datate di Alan Freeman (come sempre estrapolandole da un discorso più ampio con cui non sono in accordo) per dire che quello che ho cercato di dire malamente in questo blog agli altri zittiti


[...] se è chiaro che il sistema produce le sue proprie crisi, la prospettiva cambia. Quello che veramente accade è questo: il sistema del mercato, e soprattutto il mercato dei capitali, pone i suoi propri limiti a se stesso. Il problema è concepito capovolto perfino da parte degli oppositori più incisivi della globalizzazione, perché in effetti essi accettano il punto di vista teorico che la globalizzazione è un processo automatico e naturale, e limitano i loro obiettivi (decisamente nel caso della Tobin Tax) a ’gettare un granello di sabbia nel meccanismo’. Non ho nulla contro il gettare sabbia nel meccanismo se ciò migliora la condizione umana, ma il problema è secondo me molto più serio, perché l’intero veicolo esce periodicamente di strada con o senza la sabbia. In questo caso, il problema è completamente diverso: scappare con le minime perdite di vita. Il punto non è quello di fermarlo o di farlo avanzare; questo è un falso dibattito. Il problema è cosa fare riguardo ai terribili risultati che si verificano quando il veicolo si ferma da solo.

giovedì 8 dicembre 2016

Il non-equilibrio


Un estratto da un articolo di Guglielmo Carchedi reperibile in rete dal titolo "Dialettica e temporalità in Marx". Articolo che non ho strumenti per comprendere  pienamente e a questo limito il copia-incolla. Quel geniaccio di Marx, ponendo a contatto la processualità storico-sociale dell' economia e la matematica -passaggio necessario per estrarre dalla complessa fenomenologia capitalista le sue leggi di movimento- e osservandone la reazione, deve necessariamente inserire anche (la inserisce correttamente ovunque!) in quest' ultima una temporalità che volgarmente  non le si attribuisce. La cosa, come è successo spesso, non piace a chi ha una concezione  feticistica  dell' economia -ma direi delle scienze in generale- in cui un oggetto sociale si analizza come fosse un asteroide. Una implicazione di questo  distendersi nel tempo è che tramonta la coppia concettuale "cosmogonica"  disequilibrio/equilibrio a favore di quella ben più espressiva di tendenza/controtendenza, in cui è la stessa unità contraddittoria del Capitale (e non princìpi opposti che si escludono a vicenda) a provocare le onde economiche espansive all' interno di una unica legge tendenziale di movimento. Cercare di smentire la teoria del valore o, più facile, alcune delle sue singole asserzioni è una rogna che si sono cercata in parecchi.

Vi sono state molte dispute nella storia della teoria del valore. A incominciare dagli anni 1980, una controversia è divampata tra i marxisti che sostengono che l’economia è in equilibrio o tende verso di esso (l’approccio dell’ equilibrio) e quei marxisti che sostengono che la nozione di equilibrio è aliena alla teoria di Marx.

Per questi ultimi, non solo l’equilibrio ma anche le deviazioni da esso (il disequilibrio) sono solo potenti nozioni ideologiche che non hanno alcuna rilevanza per una teoria economica del mondo reale. Infatti, l’economia capitalista tende non verso l’equilibrio ma verso le crisi attraverso una successione di cicli economici. I due approcci sono radicalmente differenti. I termini ‘economia del (dis)equilibrio’ e ‘economia del non-equilibrio’ sottolineano questa differenza. La disputa non è ancora stata risolta, in una maniera o nell’altra.

domenica 4 dicembre 2016

Siamo tutti in ballo



Sì, no, non lo so, astensionismo di maniera, illibertà è partecipazione. Le alternative poste dal Dominio sono sempre più stringenti e allo stesso tempo mai si occupano davvero di cosa c'è in ballo: è che siamo tutti in ballo. Non amo la Costituzione nata dalla Resistenza, il quadro normativo, superato nella sua forma compromissoria dai fatti, del rapporto del sfruttamento di una classe sull' altra, in cui è scritto nero su bianco che la fatica di produrre non può essere equamente ripartita e che a partire da ciò una accozzaglia di gruppi, masse, personale politico, potentati e strati sociali, possibilmente impermeabili allo scorrere dei decenni, si fa Stato. E' il miraggio della sovranità popolare. Questa illusione contiene qualche verità: "il popolo", un tempo lievito della mutazione sociale, è "salito",  sino a diventare il lievito della coesione sociale

Eppure una toccatina a Pinocchietto Renzi andrebbe data a mio modo di vedere esclusivamente per le sue politiche platealmente di classe, non che potrebbe essere altrimenti, che alcuni sottolineano ingiuste "in quanto vengono dal centro-sinistra". Forse non si sono accorti che la fase progressiva della sinistra è finita al più tardi a metà degli anni 70. I soliti mugugni. Bhe, chi segue questo blog sa che sul argomento non spreco fiato, il concetto "sinistra" non ha nulla a che fare con l'orientamento verso l' altro modo di produzione, quello più elevato intendo.

martedì 29 novembre 2016

Automazione e servitù #1


 La macchina ha gettato a terra il conducente, 
e corre cieca nello spazio.


Argomento centrale dell' epoca di fronte al quale la critica sociale è rimasta impigliata è quello di cui ci parla il novecentesco Marcuse in queste righe. La servitù volontaria a cui volentieri ogni giorno ci pieghiamo e a cui ci siamo piegati in ogni epoca -ma oggi parrebbe, in momento di attacco diretto alle condizioni di sussistenza, con più zelo- è mimesi delle concrete condizioni di lavoro che inglobano e al contempo producono una reiterazione conforme alle condizioni stesse su ogni scala. La radice, per l' uomo, è l' uomo stesso, ovvero quello che fa nel modo in cui lo fa.  Queste condizioni sono oggi ovunque grandemente, ma forse non abbastanza, informate dall' automazione macchinica. Essa pone e presuppone una sua propria storica razionalità che si installa e si riproduce come struttura logica di tipo unidimensionale -che nel linguaggio dei francofortesi significa in assenza di una propria negazione determinata-, al cui fondo l' autore ci invita ad  immergersi e a fare propria, unico modo per non subirla a priori. Il risultato del  processo è "la società senza opposizione". Vediamo il primo di alcuni passaggi di questo processo.---



L'analisi è centrata sulla società industriale avanzata, in cui l'apparato tecnico di produzione e di distribuzione (con un settore sempre piú ampio in cui predomina l'automazione) funziona non come la somma di semplici strumenti, che possonoessere isolati dai loro effetti sociali e politici, ma piuttosto come un sistema che determina a priori il prodotto dell'apparato non meno che le operazioni necessarie per alimentarlo ed espanderlo. In questa società l'apparato produttivo tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. 
                                                    

domenica 20 novembre 2016

L' ineguale sviluppo politico -italiano








 L' ineguaglianza dello sviluppo economico e
politico è una legge assoluta del capitalismo


Pinocchietto Renzi avrebbe dovuto leggere fino in fondo Lenin: avrebbe avuto qualche dubbio in più sul appoggio dei ceti medi italiani alle sue riforme---.

Marx, nel terzo volume del “Capitale”, individua nella forma democratica la "forma specifica" dello Stato capitalista e vede nelle altre forme di Stato capitalistico "variazioni" e "gradazioni" della "forma specifica». La "forma specifica" dello Stato capitalistico é la forma democratica della dittatura borghese alla massima purezza. E' l' involucro "puro", cioé l’involucro di una società composta solo da imprenditori e salariati tendente alla massima concentrazione dei mezzi di produzione. Le "variazioni" e le "gradazioni" della "forma specifica" dello Stato borghese sono l'espressione delle variazioni e delle gradazioni dello sviluppo economico capitalistico "puro". Lo sviluppo economico del capitalismo é variato e graduato, quindi ineguale. Ne deriva che anche lo sviluppo degli Stati, che avvolgono tutte le parti del mercato mondiale, é variato e graduato, cioé ineguale.[...]

venerdì 18 novembre 2016

Il tempo di lavoro che si divora la vita




Non si dà vera vita nella falsa

Lo sviluppo delle forze produttive appare giunto al suo capitalistico capolinea ma l'astuzia del Capitale è tale che il general intellect si spreme le meninigi anche gratis per alzare il saggio di profitto- accelerando peraltro la sua stessa sostituzione con l' intelligenza artificiale. Grande è la paura di essere messi da parte, di andare a implementare la già nutrita e concreta moltitudine dei mendicanti metropolitani.

Il reale potere del Dominio non risiede nel comando ma proprio nella Sua società che ha manipolato fin nelle più recondite pieghe con il bastone della necessità e l' imitazione e con la carota della libertà e la distinzione, eppure è proprio in essa che rintracciamo le faglie più profonde del attrito fra il possibile e l' aporia del presente.


Il titolo dato dal collettivo Clash City Workers all' articolo che riproduco dovrebbe essere ribaltato: il tempo al servizio del Capitale è l' unica vita che c'è. Da quando esiste il lavoro salariato, da non intendersi in senso sindacale, la classe dei padroni si compra e usa come meglio crede la vita del lavoratore, fra cui le ore in cui lo spreme come forza-lavoro immediata -di mano o di concetto non ha alcuna importanza. Con il progressivo venire a galla della sostanza sociale e totalitaria del Capitale la vita, il tempo libero e quello di lavoro di ognuno sono categorie comode per l'analisi (che però ci portano a credere che esista un margine che non c'è) ma con sempre maggiore evidenza formali.


Il 4 agosto scorso compare su Bloomberg Businessweek un’intervista a Marissa Mayer, amministratore delegato di una delle più grandi corporation al mondo: Yahoo. Senza tanti giri di parole, la Mayer, già fra i primi dipendenti di Google, ci svela la chiave del successo del gigante statunitense e più in generale di ogni grande impresa: “Il segreto della fortuna delle aziende è quello di avere dipendenti che si impegnano duramente. Si può arrivare a una media di 130 ore alla settimana”. Per anni abbiamo sentito raccontare la storia per cui, nelle grandi società del web 2.0, il lavoro era molto più rilassato: appositi spazi comuni dove prendere una pausa e fare un pisolino, e in Google addirittura la possibilità per i dipendenti di usare un’ora retribuita al giorno (o perfino il 20% del tempo) per dedicarsi a un libero progetto. Ma poi nel 2015 è stata proprio la Mayer a chiarire meglio la faccenda: “I’ve got to tell you the dirty little secret of Google’s 20% time. It’s really 120% time”. Ovvero, quel 20% di tempo era da considerarsi oltre il normale lavoro: straordinari straordinari, semplicemente, non retribuiti. Progetti che poi Google valutava ed eventualmente includeva tra quelli ufficiali. Sono gli stessi Page e Brin, fondatori di Google, ad affermare nel 2014: “Noi incoraggiamo i nostri dipendenti, in aggiunta ai loro regolari progetti, a utilizzare il 20% del loro tempo per lavorare su quello che loro pensano possa fare più bene a Google”, tanto che “molti dei nostri avanzamenti sono avvenuti in questa maniera”, da Google News a Gmail e addirittura il sistema che genera la fetta più grande di profitti per il colosso statunitense: AdSense.  Solo nel 2013 Google ha escluso del tutto la politica del 20%, probabilmente per porre un limite all’eccessivo ritmo di innovazioni che rendeva difficile lo sviluppo organico dei progetti. 



giovedì 17 novembre 2016

Il ritardo -italiano


Sembra che non sia cambiato molto in questo misero paese che si accapiglia sul niente e si pregia di lasciare insolute le questioni cruciali Mi riferisco al pluridecennale gap tra lo sviluppo socio economico e la infrastruttura politica, l' eterno ineguale sviluppo. E, allargando lo sguardo, il tutto  in un fortissimo ritardo rispetto ai più diretti, vecchi e nuovi concorrenti nella competizione imperialistica globale. La riforma costituzionale e la legge elettorale sembrano essere  pensati più per mimetizzare, agli occhi degli osservatori internazionali, la strutturale incapacità del personale politico a riformare. Neppure il bipartitismo - nel testo emerge bene la sua necessaria funzione, peraltro oggi parecchio in crisi- qui ha attecchito e i due italici poli -anzichè riformare velocemente per adattare il corpo sociale alle accelerazioni economiche- hanno prodotto inciuci di tutti i generi e quindi immobilismo.   La stessa nozione di capitalismo di stato come qui declinata, dopo che siamo passati attraverso la privatizzazione del IRI e dei principali gruppi industriali e finanziari a capitale "pubblico", in Italia non è mai del tutto tramontata. E che dire poi del parassitismo sociale ?---


La crisi politica esasperata è la più clamorosa manifestazione delle contraddizioni in cui si dibatte la società borghese in Italia. La crisi politica accelera la tendenza al bipartitismo, tendenza che é funzionale al sistema, ma aggrava tutti i problemi economici del capitalismo e le condizioni di vita del proletariato, dalla perdita del potere di acquisto alla disoccupazione. L’ indebolimento dell’ imperialismo italiano in rapporto alle potenze che stanno crescendo rafforzate dalla crisi mondiale di ristrutturazione si accentua sempre più ed ha come effetto,  rapido e precipitato, un ulteriore condizionamento internazionale ed un ulteriore processo di imputridimento sociale e politico.

La crisi politica raggiunge ormai toni parossistici che non fanno altro che aggravare l' indebolimento della metropoli italiana. Il capitalismo italiano ha dimostrato negli ultimi due anni l' incapacità a portare avanti una vera ristrutturazione e questa incapacità, questo ritardo nei confronti dei suoi concorrenti, questo problema rimandato di mese in mese si e accumulato e addensato proprio quando il sistema mondiale esprime confronti e conflitti interimperialistici al piu alto livello.


domenica 13 novembre 2016

Conciliare l’impero e la retorica antiliberista



Articolo di Dario Fabbri da Limes, il commento che ho trovato più azzeccato sulle modifiche che la recente elezione di Trump potrebbe portare al quadro statunitense e mondiale. Quello che ovviamente è certo è che nulla cambierà per quanto riguarda il drenaggio di plusvalore che gli Stati Uniti operano ai danni dei paesi emergenti, e non solo, tramite il signoraggio valutario e i rami d' industria ad altissima composizione organica di capitale. In questo consiste oggi l' Impero Americano, fondato sulla esigenza e capacità di quei capitali di stare a galla in tutti i chiari di luna dei vari cicli economici più che sulla opzione militare, la quale spesso ha smaccatamente spianato la strada alla penetrazione commerciale ma che non ne è la ragion d' essere. In generale mi pare di capire, ora che le carte iniziano a vedersi, che la maggior parte degli ambienti politici e finanziari internazionali preferissero la Clinton semplicemente perchè sapevano già cosa aspettarsi in politica estera e  la sua elezione non avrebbe interferito con le mosse di politica monetaria già annunciate della Federal Reserve. Ora non è più questo il caso: Trump pare mettere l'accento sugli "stimoli fiscali" per grandi aziende -e grandi azionisti- combinati con un certo uso del dumping doganale a protezione delle merci US -da giocarsi anche in chiave geopolitica. Il tutto probabilmente producendo debito federale e inflazione, la quale può essere anche un modo di attaccare il monte salari e il welfare. Un analista finanziario così descrive la situazione: " Ironicamente, la reazione del mercato sembra anche sottolineare come difficilmente le cause che lo hanno portato al potere, la disegualglianza, la crisi della middle class, la rabbia contro l’establishment, vedranno i benefici sperati da un presidente che vuole aumentare la spesa fiscale e tagliare la corporate tax."


Le elezioni che hanno sospinto Donald Trump alla Casa Bianca hanno dimostrato la preminenza negli Stati Uniti della questione di classe. Tema che si reputava sommerso, tant’è vero che i sondaggisti si sono fatti depistare dall’applicazione delle griglie demografiche (sesso, età, etnia, religione e via dicendo) alle rilevazioni delle preferenze dell’elettorato.

Così le donne, nonostante il plateale sessismo del candidato repubblicano, si sono schierate in suo favore molto più di quanto ci si potesse aspettare. A dimostrazione di quanto questa tornata sia stata decisa da questioni economiche.

Persino più d’un ispanico ha votato per Trump. Non solo gli anticastristi cubani, contrari come il magnate newyorkese al disgelo con il regime dell’Avana, ma pure gli immigrati che, ormai ottenuta la cittadinanza statunitense, non volevano la naturalizzazione dei clandestini promessa da Hillary Clinton e la loro conseguente regolarizzazione nel mercato del lavoro.


domenica 6 novembre 2016

Ballad of a thin man (la fantomatica coscienza di classe #9)

Because something is happening here
But you don’t know what it is
Do you, Mister Jones?
 
Dagli epistolari di Engels il ritratto delle maschere di carattere che presidiano la politica e la cultura: sembrano impersonare se stessi invece non sanno neanche chi li manda. Faranno il loro mestiere comunque, a causa o malgrado le loro idee e proposte, non dubitatene. Il mondo borghese, dopo la conquista del pianeta, sembra si stia secolarizzando: ciò non vuol dire che sia nella sua natura farlo. E' una rivoluzione esigente e continua, portata a tutti i livelli sociali, il suo modo d'essere.---

Aggiornamento: Trump ha vinto la contesa, in questa mostruosa fase storica di transizione le tensioni manifeste e latenti che attraversano i vari corpi sociali  prendono la faccia degli outsider e della rottura almeno apparente della continuità politica. E' stato così per Obama (che fu a sua volta un outsider 8 anni fa), la cui politica è stata bocciata, così pochi mesi fa per la "impossibile" brexit. Trump non ce lo vedo ad uscire troppo fuori dai binari (apparati permettendo) ma di fatto la voglia di protezione statale contro gli enormi pericoli che i popoli dell'ex parte avanzata del capitalismo mondiale stanno correndo è tanta.  

A me pare che avremmo tanto da imparare dagli USA, sia per la genuinità che per gli infingimenti con cui lo spirito capitalista lì si mostra. Nego qualsiasi superiorità di qualsiasi tipo tra un europeo e un americano, ovvero tra i due modelli. Il fatto che quando pensiamo all' America ci troviamo di fronte alla potenza imperialista più forte del mondo da un secolo -e oggi non proprio più all' avanguardia  e senza l' abbrivio al profitto che hanno altri- a me semmai fornisce motivo di interesse e una certa ammirazione.  Forse sono succube del mito americano.


Gli uomini fanno essi stessi la loro storia, ma finora neppure in una determinata società ben delimitata, non con una volontà collettiva, secondo un piano d’assieme. I loro sforzi si intersecano contrastandosi e, proprio per questo, in ogni società di questo genere regna la necessità, il cui complemento e la cui forma di manifestazione è l’accidentalità. La necessità che si impone attraverso ogni accidentalità è di nuovo, in fin dei conti, quella economica. Qui è il momento di trattare dei cosiddetti grandi uomini. Il fatto che il tale uomo, quello e non altri, sia comparso in quel momento determinato, in quel determinato paese, è naturalmente un puro caso. Ma sopprimiamolo, e c’è subito l’esigenza di un sostituto, e questo sostituto lo si trova, bene o male, ma a lungo andare lo si trova. Che proprio Napoleone, questo còrso, fosse il dittatore militare reso necessario dal fatto che la repubblica francese fosse stremata dalle proprie guerre, fu un caso; ma che, in assenza di Napoleone, un altro ne avrebbe preso il posto, è provato dal fatto che ogni qualvolta era necessario si è sempre trovato l’uomo adatto: Cesare, Augusto, Cromwell ecc. Se Marx ha scoperto la concezione materialistica della storia, Thierry, Mignet, Guizot e tutti gli storici inglesi fino 1850 dimostrano che vi era una tendenza in questo senso, e la scoperta della stessa concezione da parte di Morgan prova che i tempi erano maturi per essa e che la si doveva necessariamente scoprire.

Lo stesso vale per tutti gli altri fatti casuali o apparentemente casuali nella storia. Quanto più il terreno che stiamo indagando si allontana dall’Economico e si avvicina al puro e astrattamente ideologico, tanto più troveremo che esso presenta nella sua evoluzione degli elementi fortuiti, tanto più la sua curva procede a zigzag. Ma se Lei traccia l’asse mediana della curva troverà che quanto più lungo è il periodo in esame, quanto più esteso è il terreno studiato, tanto più questo asse corre parallelo all’asse dell’evoluzione economica.

martedì 1 novembre 2016

La scienza può dire la verità ?


Senza totalità, allo scienziato rimane da indagare fatti slegati, ossia accettare lo status quo. 


Un importante articolo sul tema più sostanziale di ogni epoca: quello della verità e del suo albergare o meno, e in che misura, nella realtà sociale come nella vita soggettiva, sempre che di quest' ultima ne esista una.---

Introduzione

La filosofia della scienza si è a lungo interrogata sulla diversa natura delle singole discipline e sull’unicità o meno dei metodi della scienza che ne poteva derivare. Fino al XIX secolo, la specializzazione scientifica non era tale da originare controversie. Gli scienziati erano anche filosofi e spesso studiosi della società e storici[1] . Gli intellettuali avevano una conoscenza almeno basilare di tutte le scienze principali e della filosofia e nessuna scienza godeva di uno status superiore poiché ancora nessuna scienza aveva contribuito a un incremento sensibile delle forze produttive.
Il fenomenale sviluppo della scienza degli ultimi secoli ha elevato lo status delle scienze naturali, relegando le discipline sociali a chiacchiericcio. Il sentire comune è che la fisica sia “la” scienza assieme a ciò che le si avvicina per rigore nella sperimentazione e nella teorizzazione. Il contributo della fisica allo sviluppo umano appare ovvio e incontrovertibile, quello delle scienze sociali quanto meno dubbio. Le riflessioni epistemologiche moderne sono tentativi di generalizzare i metodi della fisica per consentire a tutte le branche del sapere di arrivare allo stesso livello di sviluppo: “le scienze dell’uomo e della società si sforzano di emulare il modello delle scienze naturali che hanno tanto successo”[2], così che tra le influenze dominanti per le scienze sociali vi è quella dei “modelli forniti dalle scienze della natura” (Piaget, cit., p. 29). Al massimo, allora, alla filosofia non rimane che il ruolo di commentatrice e generalizzatrice, poiché “resta la tendenza fondamentale dello sviluppo filosofico: riconoscere come necessari e come dati i risultati ed i metodi delle scienze particolari, attribuendo alla filosofia il compito di portare alla luce e di giustificare il fondamento di validità di queste costruzioni concettuali”[3] .
L’epistemologia moderna, in quasi tutte le sue componenti, riflette il trionfo delle scienze naturali. Nell’ottocento, molti scienziati guardavano ottimisticamente alle scienze nel loro complesso, evidenziando una loro natura unitaria in quanto parti del progresso dell’industria e della società (Helmholtz per tutti). Nel ventesimo secolo, la scuola epistemologica più di successo e duratura, il neopositivismo, considera una parte fondamentale del suo programma la battaglia per l’unificazione delle scienze, ovviamente sotto le bandiere della fisica. Pur da prospettive diverse, gli epistemologi successivi hanno sostanzialmente accettato questa posizione monista. Ciò vale anche per diversi pensatori marxisti, che hanno subordinato le scienze sociali a quelle naturali[4].
D’altro canto, le correnti che hanno proposto interazioni tra scienza e società (in particolare la sociologia della conoscenza), hanno rilevato il carattere sociale di tutte le scienze, in un quadro metodologico, di nuovo, sostanzialmente monista.
In queste concezioni ha poco senso distinguere tra scienze sociali e naturali. Esse avranno gli stessi obiettivi, gli stessi metodi, spesso gli stessi strumenti analitici e si distingueranno, al massimo, per un diverso grado di sviluppo e formalizzazione. Le scienze più sviluppate forniranno il modello per tutte le altre, che non dovranno far altro che seguirne le orme.
In questo scritto cercheremo di dimostrare che esiste invece una differenza strutturale, ontologica, tra le scienze che non coincide strettamente con la distinzione tra scienze naturali e sociali e che tale distinzione deriva dalla loro funzione sociale, da cui anche deriva il rapporto con i criteri di verità della scienza. Ciò che distingue le scienze, proveremo a spiegare, non è il metodo o l’oggetto di studio, ma il rapporto con le forze produttive e i rapporti di produzione.

domenica 30 ottobre 2016

Tutti contro il libero scambio



Le cose stanno andando avanti più per inerzia che per strategia, con tutta evidenza in campo economico e la politica non può essere da meno. Questo articolo edito su Aspenia ci spiega meglio le contraddittorie e obbligate linee di tendenza -colte nel vertice politico mondiale- imposte dalla stagnazione economica, il punto morto in cui il mondo borghese si sta impaludando.---
 
Le resistenze che il TTIP ha incontrato negli ultimi mesi in Unione Europea manifestano un nuovo malessere nei confronti del libero scambio, assurto a principale argomento controverso nei dibattiti politici. Un sentimento che non appare limitato al vecchio continente, ma che si ripete in forme più o meno uguali anche negli Stati Uniti. Testimoniando una lotta trasversale tra i vincitori e i perdenti della globalizzazione.

Se in Europa l’oggetto del contendere è il TTIP (il progetto di Transatlantic Trade and Investment Partnership, ancora in fase di negoziato), negli USA questo ruolo è assegnato al suo ‘fratello maggiore’, il TPP (Trans-Pacific Partnership), siglato dagli Stati Uniti lo scorso febbraio (dopo sette anni di negoziati) con altri 12 paesi dell’area del Pacifico, compresi Canada e Giappone. Il trattato, che una volta entrato in vigore avvicinerebbe paesi che compongono il 40% del pil mondiale in una macro-regione fondamentale per il futuro del pianeta, è visto dall’amministrazione Obama con particolare favore: agli occhi della Casa Bianca, il TPP doveva essere uno dei principali lasciti dei due mandati presidenziali, in quanto strumento principe per portare a termine il tanto decantato pivot to Asia – una versione meno muscolosa del contenimento della Cina. Si tratta di affidare un ruolo strategico di primo piano al libero scambio, visto come strumento alternativo alla forza militare per puntellare l’ordine mondiale a guida statunitense anche nel nuovo secolo. 


sabato 1 ottobre 2016

Le origini agrarie del capitalismo



 A proposito dell' affinamento della forma valore operato nella produzione agricola e poi consegnato all' industria. Il lungo abbrivio della lenta ma inesorabile crescita della produttività accumulata nei secoli del basso medioevo doveva strutturarsi in un nuovo corpo con abito altrettanto nuovo, senza potersi mai più riconoscere. L' articolo sembra sintetizzare negli "imperativi del mercato" ciò che io, appoggiandomi indegnamente su altri, chiamo rapporto sociale capitalistico. ---

Update: questo innocuo post ha sortito una polemica con un certo Plinio che ha pensato di cogliermi in fallo poichè qui propongo questa breve indagine sul primo esempio di centralizzazione dei mezzi di produzione avvenuto nell'Inghilterra del XVII sec in campo agricolo. Al contrario spesso mi esprimo in favore di uno slancio e di una attenzione particolari verso ciò che già oggi tratteggia la necessità di una nuovissima combinazione storico-sociale. C'è contraddizione logica? In realtà per me, nella mia testa, -luogo esclusivo, mi rendo conto- questo post continuava un commento lasciato pochi giorni prima nel blog Diciottobrumaio in cui accennavo ad alcune questioni inerenti a questo tema. Ora che la gratuita polemica del mio interlocutore si dovrebbe essere quietata ne posso dare spiegazione.

Una delle più consolidate convenzioni della cultura occidentale è l’associazione del capitalismo con la città. É invalsa la supposizione che esso sia nato e cresciuto nelle città. Non solo, tutto ciò implica che qualsiasi città – con le sue caratteristiche attività di traffico e commercio – sia per natura, e sin dagli inizi, potenzialmente capitalista, e come solo ostacoli esterni abbiano impedito a ogni civiltà urbana di dare i natali al capitalismo. Solo la religione sbagliata, la forma di stato sbagliata, o ogni altro genere di catene ideologiche, politiche e culturali che abbiano frenato le classi urbane, hanno impedito al capitalismo di sorgere ovunque e comunque, sin da tempi immemorabili – o perlomeno da quando la tecnologia ha permesso un’adeguata produzione di eccedenze.


lunedì 12 settembre 2016

Dalla Cina a Marte


Dal sito dell' economista "marxista" Michael Roberts, per fortuna trovato già tradotto, il resoconto delle conflittualità sottotraccia che traspaiono e che tengono in scacco la classe politica mondiale, a livelli che sfiorano, come qui illustrato, il cinema di Bunuel---


La riunione di fine settimana (4-5 settembre) dei capi di Stato delle prime 20 economie del mondo (G20)  che si è svolta nel resort cinese di Hangzou, ha concluso che l'economia globale si trova ancora nei guai. Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) aveva calcolato che il 2016 sarà il quinto anno consecutivo in cui la crescita globale sarà il 3,7% al di sotto della media registrata nel periodo fra il 1990 ed il 2007. E poco prima del vertice del G20, l'IFM ha presentato una relazione che prevede una crescita ancora più lenta di quella prevista:

«I dati ad alta frequenza indicano una crescita meno accentuata per quest'anno, soprattutto nelle economie avanzate del G-20, mentre l'andamento dei mercati emergenti è più vario». 

lunedì 5 settembre 2016

Pomerania terra di sogni e di chimere




Per i dati di base e per approfondire potete leggere QUI


La fazione borghese -quella meglio integrata nel mercato mondiale- esportatrice ed eurista perde appeal nella crisi generale, c'è una parte della Germania che ha capito che sta scivolando fuori dal gioco (e non ho dubbi che sia in buona parte proletaria) ma non ha al momento altro per le mani che aspirare ad emendare da subito alcuni aspetti, quelli che si presentano in carne ed ossa, del mercato globale della forza lavoro.

Come se il pacchetto non fosse da accettare completo, come se fosse possibile abrogare solo alcuni degli effetti  messi in moto dal magnetismo del Capitale: da un polo sovrappopolazione operaia, che oggi il capitalismo ha difficoltà a mettere a valore, e al altro polo la repulsione -altro che l' ennesimo piano Junker vaneggiato al G-20 ! - degli investimenti per le aree poco friendly per il profitto.

domenica 14 agosto 2016

Le olimpiadi del Capitale


Un qualche dato sulla attuale divisione internazionale del lavoro tratto dal sito di Michel Husson, economista che fa parte del gruppo francese Attac - la cui linea altermondista non condivido per nulla. Leggendo i dati -che si fermano al 2012 cioè includono solo la prima onda della crisi- mi viene da dire che non si è mai lavorato così tanto nella storia umana; va riconosciuto al Capitale la spinta a mettere in relazione universale l' umanità con se stessa, a patto ovviamente che questa relazione sia una conferma del processo che tutto a sè sussume: la produzione di plus-valore.

Inoltre chi ha vissuto da adulto questi anni  può valutare come a quest' ultima espansione quantitativa del capitalismo– l’espansione mondiale della produzione e del mercato – si è accompagnata quella qualitativa: l’espansione mondiale del rapporto sociale capitale-lavoro, la messa a valore dell’intero spazio sociale.  Uno sviluppo che si ripercuote  anche nella tenuta degli apparati statali, quelli che si legittimavano come "pubblici" e che oggi si scopre hanno il solo scopo di preparare il corpo sociale a immolarsi  sul altare dell' accumulazione, oltre che di reprimerne eventuali caldane.


sabato 30 luglio 2016

Imperialismo uno e trino


Lungo articolo del economista Guglielmo Carchedi in cui si riassumono le tesi (puntuali riletture interpretate dei testi marxiani) che  va diffondendo in libri e convegni a partire dalla grossa crisi del 2007 (2008 per chi se ne è accorto tardi). Unico appunto che posso muovergli è che a mio avviso il leniniano "stadio supremo del capitalismo" va inteso in senso teoretico e non di configurazione geopolitica, quindi proprio nel senso di "imperialismo come totalità compiuta del capitalismo", posto e accettato che la sua radice sociale e antagonistica presuppone tutto il mondo come luogo della competizione, del conflitto tra capitali contrapposti per interesse. Se penso alle stronzate sul avvento del  finanz-capitalismo (post 1989, ci mancherebbe) e sulla perduta sovranità democratica nazionale che vanno propinando i vari Fusaro e Freccero o, agli antipodi, sulla scomparsa delle aggregazioni nazionali dei Toni Negri,  mi scappa da ridere e mi dico quanta strada c'è ancora da fare -e quanto coraggio ci vorrà per andare.---


I. Con la disfatta storica del movimento operaio, la parola ‘imperialismo’ è scomparsa dal vocabolario della sinistra ed è stata rimpiazzata da ‘globalizzazione’. Tuttavia, se la parola è scomparsa, la realtà persiste.

venerdì 29 luglio 2016

Let's Trump !


Alcuni estratti da un interessante articolo comparso sul ultimo numero di Lotta Comunista. In particolare segnalo la breve e significativa analisi dei flussi elettorali a partire dalla presidenza Nixon. Dedicato al "testimone di Geova della rivoluzione" che si è fatto 5 piani a piedi per portarmelo in cambio del solito misero obolo---


James Baker, 86 anni, dal 1981 al 85 capo dello staff di Ronald Reagan, poi ministro del Tesoro fino all 88, segretario di Stato fino al '92 e infine capo dello staff del presidente Bush sr fino al 1993, vecchio repubblicano che conosce bene i meccanismi di funzionamento del governo, in un' intervista al FT del 3 giugno così si esprime sui candidati presidenziali: "Cosa dicono in campagna elettorale e cosa fanno una volta alla Casa Bianca non sono la stessa cosa. Io non mi preoccupo di chi vince."
 

domenica 10 luglio 2016

La fantomatica coscienza di classe (8)





Non esiste il partito dei proletari perchè non esiste la classe, esiste la realtà sociologica del proletariato così come generata dai processi capitalistici e recepita senza battere ciglio dai subordinati.

Il riconoscimento immediato della classe operaia come nucleo d'avanguardia del proletariato mondiale non è più tale da tempo nei paesi a capitalismo maturo e per ora neanche dove la realtà industriale ha avuto una relativamente recente e prodigiosa accelerazione.

Per cui, venendo a noi, il proletariato è per ora la classe di chi presta le proprie facoltà per necessità ma tra un operaio agricolo e un ricercatore precario, tra un lavoratore del terziario arretrato e un impiegato pubblico per ora non ci sono comuni interessi e meno che mai una comune appartenenza di classe - da declinare in negativo, questa appartenenza: il concetto è assai pericoloso se estroflesso in positivo.

Eppure tra chi fa lavori produttivi di plusvalore e chi invece, la maggioranza, improduttivamente trae uno stipendio dalla circolazione monetaria oggi c'è già la connessione -obbligata dal processo della valorizzazione- che sta nel lavoro sociale astratto, dal ingegnere passando all' operaio e finendo alla baby sitter.

Inserire i propri interessi e definire la propria posizione rispetto al Capitale nella reale genericità del lavoro sociale astratto ci obbligherebbe a ridefinire chi siamo e in particolare quale è la posta in gioco alla luce di milioni di vite spese non per un mestiere ma per tanti quantum di lavoro in cambio di una assicurata merdosa miseria -materiale e mentale.

Come se si potesse vivere in pace, a non decidere se essere carne o pesce.

venerdì 1 luglio 2016

La fantomatica coscienza di classe (7)


"Nel maestro, il nuovo e  significativo si sviluppa in mezzo al letame delle contraddizioni; egli ricava violentemente la legge dai fenomeni contraddittori. Le contraddizioni stesse che stanno alla base testimoniano la ricchezza del fondamento vivo da cui egli ricava la sua teoria. Per il discepolo la cosa è diversa. La sua materia prima non è più la realtà, ma la nuova forma teoretica in cui il maestro l’ha sublimata. Sia l’opposizione teoretica degli avversari della nuova teoria, sia il rapporto spesso paradossale di questa teoria con la realtà, lo spronano al tentativo di confutare la prima e di eliminare, spiegandolo, il secondo. In questo tentativo si avviluppa esso stesso in contraddizioni, e mentre cerca di risolverle egli manifesta l’ iniziale dissoluzione della teoria, di cui è il rappresentante dogmatico"

Per anni mi sono arrovellato sul perchè gli epigoni marxiani sono stati, tranne pochi, così al di sotto dei maestri, poi il dilemma l'ha risolto Marx stesso.

La cosa vale per gli intellettuali velatamente o meno portavoci della borghesia, quale che sia la fazione (economica, politica, culturale) a cui fanno riferimento. Uno sguardo a volo d' angelo (perchè di sguardo umano e non di uccello c'è bisogno) su questa disumanità radicale gli è precluso essendo essi stessi, falchi e colombe, progressisti o fieramente reazionari, epigoni oramai secolarizzati che si rispondono tra loro e non più alla realtà complessiva. La schiettezza degli osservatori classici, i maestri, è persa per sempre.

Bisogna fare da sè, la questione degli intellettuali è così marcia da risultare noiosa, conquistare uno sguardo nuovo non è appunto questione puramente culturale, d' istruzione o di intelligenza.

giovedì 30 giugno 2016

Dove aleggia lo spirito di Margaret Thatcher

Propongo qui un articolo di Oscar Giannino circa il referendum sulla brexit pubblicato un paio di giorni prima il 23 giugno, in cui è sottolineato il realismo con cui, soprattutto, ma anche prima, a partire dall' era Thatcher, il Regno Unito ha affrontato il tema dell' unificazione europea rispetto alla narrazione dell' europeo regno della pace perpetua, scampato il pericolo di una guerra nucleare che ci avrebbe visto esattamente nel mezzo. 

Com'è noto Giannino è uno strenuo difensore del libero mercato e, se parla di Italia o di EU (Stato e Super-stato), lo fa sempre nei termini di ingerenza della burocrazia politica sull'economia la quale così non riesce ad esprimere pienamente il suo potenziale in termini di crescita.
 
Concordo fino ad un certo punto: in questa settimana si è molto discusso di stato e sovrastato (identificato con la finanza internazionale e con l'UE sua portavoce). Io rifiuto il derby stato-mercato e considero che lo sviluppo storico capitalistico è sempre un rimando reciproco di dirigismo organizzativo statale e di capitali privati che, lungi dal contrapporsi allo stato, cercano di lavorarselo affinchè siano nelle migliori condizione di battere i concorrenti interni ed esterni. Poi esiste anche una labile autonomia del politico dall' economico -l' esito referendario ne è un esempio parziale- ma, per lo più, chi la invoca oggi è come un bambino spaventato dal buio: riempire questa capitalistica  notte con la propria voce può dare un pò di conforto ma non la renderà meno buia.---    


Quando nel 1975 i cittadini del Regno Unito furono chiamati a referendum sul restare o meno in quella che allora era la CEE, votarono in quasi 26 milioni sui 40 milioni aventi diritto, e il sì vinse con il 67%. Il referendum era stato convocato da un governo laburista, il che dà torto a chi oggi dice che far decidere ai cittadini sia una mania dei conservatori antieuropeisti o dei populisti “di pancia”.

Mario Monti ha dichiarato alla Stampa che il referendum britannico del 23 giugno è un disastro, non solo perché voluto dal premier conservatore Cameron per rafforzare la sua leadership interna, ma soprattutto perché manda all’aria decenni di paziente tessitura europea da parte di statisti e governi. Sergio Romano oggi sul Corriere ringrazia i costituenti per la loro saggezza, perché la Costituzione vieta agli italiani referendum su spesa pubblica, fisco e Trattati internazionali ergo anche sulla Ue.  E’ un punto di vista singolare. Non lo condivido. L’integrazione europea è lenta e ha moltissimi difetti sempre più evidenti in questi anni di crisi, basta pensare all’incapacità di una vera comune politica dell’immigrazione, oppure al “fai da te” con cui tra mille scontri in questi anni la BCE si è inoltrata nelle politiche monetarie non ortodosse per contenere la crisi. Ma proprio per questo o l’Europa è un grande principio capace di generare benefici e i politici sanno spiegarlo agli elettori, appellandosi ai loro portafogli e alle loro teste ma anche ai loro cuori e alla loro emotività; oppure se perdono nei referendum si deve al fatto che quei benefici o non sono abbastanza forti, o i politici non sanno spiegarli.  I populisti emotivi e i nazionalisti in politica ci sono sempre stati. La differenza è se i loro avversari riescono a batterli con argomenti convincenti, oppure no. Se gli argomenti convincenti mancano, la risposta non può essere “vietiamo i referendum”.


domenica 19 giugno 2016

London calling





Pochi giorni al referendum sulla brexit -che ho intimamente ribattezzato London Calling. Il referendum, nato apparentemente a causa di beghe interne ai conservatori, mostra la vistosa frattura sociale interna al UK  -ed a quasi tutti i paesi comunitari; fonti EU confermano che "le più forti disparità in termini di creazione di ricchezza tra regioni dello stesso paese si registrano all'interno del Regno Unito, poiché il Pil pro capite della regione Inner London è quasi cinque volte più alto di quello della regione West Wales". Sarebbe strano che queste forti discrepanze non prendessero una forma politica - ma non di classe, non mi stupirei che il voto pro o contro l'EU  riflettesse in distribuzione geografica quella della ricchezza sociale, con chi impoverisce e chi potrebbe guadagnare ancora di più a favore del "leave", chi ha mantenuto il proprio tenore di vita nonostante la crisi o, grazie ad essa, lo ha migliorato schierato con lo status quo attuale. Quelli messi peggio non votano. A mio avviso, riguardo alla scelta referendaria, la  brexit non ha alcuna possibilità di passare in un clima sociale, da quel che ho capito, complessivamente più anestetizzato che rovente, omicidi a parte.

In questo senso propongo qui sotto un articolo del 2014 - intitolato "Le due europe dell'economia, oltre gli stereotipi e i confini statuali" - che traccia i confini geografici di una kerneurope economica a carattere regionale che è trasversale agli stati nazionali. Questa trasversalità , mappa della produzione reale della ricchezza, pone forse uno fra i problemi più grossi alla realizzazione del vecchio progetto, sempre sottotraccia e pronto a tornare in auge nei prossimi momenti di crisi acuta,  del ministro tedesco Schäuble riguardo ad un gruppo core di paesi allineati agli alti standard  economico sociali tedeschi, non a caso internamente il più omogeneo fra i più grandi e popolosi paesi comunitari .



Otto anni di crisi economica hanno compromesso la convergenza che l'Europa sperimentava fino alla metà degli anni 2000. Stante una certa debolezza della Germania, si assisteva ad esempio alla rapida crescita di zone fino a poco prima depresse, come l'Irlanda o la Spagna, e allo spettacolare aumento dei livelli di consumo dei greci o degli ungheresi. Gli obiettivi di coesione, tra i principi fondativi dell'UE, apparivano a portata di mano, raggiungibili senza troppo sforzo, grazie a un paio di decenni di distribuzione di fondi europei e apertura dei mercati. La congiuntura negativa ha spazzato via tale illusione – basata, come si è visto, su presupposti finanziari fragilissimi. 

domenica 12 giugno 2016

La questione tedesca secondo Luttwak

"Il principio della segreta è rovesciato... la visibilità una trappola" 


Rispolvero un vecchio articolo sulla questione tedesca del 2011 di Hans Kundnani basato sulla teoria geo-economica di Edward Luttwak, un personaggetto coi controfiocchi che conoscete.

 Luttwak, esperto di strategia e politica estera, all’inizio degli anni Novanta, nel parziale tentativo di recuperare la centralità dello Stato e con specifico riferimento al triangolo d’oro (USA, Germania e Giappone, gli ultimi due avevano firmato qualche anno prima, obtorto collo, gli accordi dell' Hotel Plaza), applica le logiche del conflitto alle regole del commercio internazionale, usando proprio ‘geoeconomia’ come sostituto di ‘geopolitica’. 

Le strette interazioni fra rapporti commerciali  e rapporti di potenza non sfuggono certo a nessun scaltro lettore della economia politica mondiale, tranne a coloro che tendono ad interpretare la globalizzazione come guadagno reciproco progressivo e interdipendenza positiva (win-win). Luttwak, più solidamente, interpreta la finalità primaria delle politiche geoeconomiche, statuali e non, al raggiungimento o al mantenimento della supremazia tecnologica e commerciale, all' espansione e alla difesa dalla concorrenza delle proprie quote di mercato.---



Un diverso modo di intendere la peculiarità della potenza tedesca è possibile in base al concetto di «geoeconomia», formulato da Edward Luttwak. In un saggio pubblicato su The National Interest nel 1990 – quasi esattamente nello stesso momento in cui Maull classificava la Germania come potenza civile – Luttwak descriveva come, in alcune parti del mondo, il ruolo della potenza militare stesse diminuendo e le «tecniche commerciali» stessero sostituendo quelle «belliche», grazie alla disponibilità di capitali in luogo della potenza di fuoco, l’innovazione al posto del progresso tecnico-militare e la penetrazione nei mercati al posto delle guarnigioni e delle basi 24.

venerdì 10 giugno 2016

Welcome to the machine




"Il sogno dell'essere umano è diventare una macchina"



"La macchina,  modo particolare di esistenza del Capitale, determinato dal suo processo complessivo, in quanto capitale fisso", si presenta non più come elementare mezzo di lavoro ma come  sistema automatico di macchine che incorpora lui il lavoro vivo -in quantità e qualità- nel processo di produzione di valore. In maniera tutta spettacolare, il "lavoro" non è più, portando in là il ragionamento, il lavoro immediato dell' operaio ma è la totalità dei lavori passati -sintetizzati e concettualizzati nel "cervello sociale" e organizzati nella rete delle macchine. Tutto ciò conferma e non contraddice che il valore è impresso nella merce -come un sigillo- da quella minima presenza operaia: lì accanto, il sistema delle macchine, per quanto fantasmagorico, costa esattamente quanto produce.

Se qualcuno ancora si illudesse, quello che era il sapere tradizionale della civiltà del lavoro, le abilità prima dell' artigiano e poi dell'operaio ed inscindibili da essi, ascrivibili nel capitale variabile, sono passate da tempo a far parte quasi esclusiva del capitale costante. Le conseguenze nei rapporti di forza tra classi è sotto gli occhi di tutti, in particolare quando si magnifica il comparto manifatturiero.


domenica 5 giugno 2016

Droghe a marchio CE


Una breve inchiesta sul mondo, ovvero il mercato, della droga in Europa e limitrofi, copiato e rimontato  dalla Relazione sulla Droga 2016 edita dall' Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) e integrato da vari articoli di stampa. Dichiaro subito che non ho fini nè proibizionisti nè antiproibizionisti, il Diritto è qualcosa di relativo, io per me farei l'eutanasia di tutte le merci capitalistiche e comincerei a produrre in modo umano per soddisfare i bisogni umani così come si manifestano nel tempo e nello spazio. 

Poichè tutte le merci capitalistiche si producono e circolano per riportare profitto, le merci -o i servizi- illegali sono un punto di vista privilegiato, per l' alto valore estratto in pochissimo tempo, attraverso cui scoprire le stesse elementari regole sottostanti al "normale" funzionamento economico. Le droghe come i pannolini, le mafie internazionali come corporate, in più, e a più livelli, una moltitudine di piccoli imprenditori, penso ai piani bassi dello spaccio, che sgomitano per farsi luce cioè competono con i  concorrenti; se si ragiona alla Saviano, attraverso la dicotomia businnes  legale/illegale, forse il meglio va perso.

Nella mole di dati forniti dal rapporto, abbastanza pallosa, emerge la tendenza delle company che gestiscono il traffico di stupefacenti a livello mondiale a portare verso i consumatori molecole sempre più pure o "enhanced" e ad imporre al consumo le sostanze le cui rotte sono di volta in volta più facili da tenere aperte.

Questo aspetto, quello delle rotte, non viene sviluppato nel rapporto: si accenna appena alle nuove rotte russo-baltica e caucasica-Mar Nero per l'eroina afgana; nulla sulla produzione di marijuana albanese e kossovara; nulla sulla aumentata produzione di hashish libanese e siriano che entra dalla storica rotta balcanica -usata da decenni per eroina e armi; per la cocaina nulla sulla recente rotta che da Colombia, a volte passando dal Venezuela, approda per via aerea o marittima nelle polveriere dell' Africa occidentale e poi in Libia. Corruzione politica, guerra, tecnologie, migranti: tutto serve al businnes!

A supplire alle difficoltà delle mutevoli situazioni geopolitiche  lo sviluppo di coltivazioni "a km zero" per quanto riguarda cannabis e, si ipotizza, papavero da oppio poi trasformato in loco (come facevano i marsigliesi e i siciliani già negli anni '70), oltre ai tradizionali laboratori che sfornano molecole sintetiche sempre più forti e sempre nuove, in parallelo e in certa connivenza con l' industria farmaceutica.

Dal punto di vista  del consumo la tendenza è sommare contemporaneamente l' assunzione di più droghe: canapa, eroina, cocaina, MDMA, metamfetamina, cannabioidi, per tacere del classico alcool a go-go; di tutto di più pur di scappare via da una realtà invivibile - per cascare in una uguale e che si farà ben presto peggiore.---


L’analisi qui presentata descrive un mercato europeo della droga che si conferma resiliente, con alcuni indicatori, per la cannabis e gli stimolanti in particolare, attualmente in ascesa. Nel complesso, dai dati relativi all’offerta si evince che la purezza o la potenza della maggior parte delle sostanze illecite sono elevate o in aumento. La maggioranza dei recenti dati relativi all’indagine sulla prevalenza mostra a sua volta modesti aumenti nel consumo stimato delle sostanze stupefacenti più comunemente assunte. Il mercato della droga è inoltre più complesso: oltre alle droghe tradizionali, infatti, i consumatori hanno a disposizione nuove sostanze, vi sono segnali che i farmaci stanno acquistando maggiore importanza e i modelli di poliassunzione sono la norma tra coloro che hanno problemi di droga. Gli sforzi di interdizione sono messi a dura prova dal fatto che la produzione di cannabis, droghe sintetiche e persino alcuni oppiacei e nuove sostanze psicoattive ora avviene in Europa, vicino ai mercati dei consumatori.

lunedì 25 aprile 2016

I due trattati transoceanici



Da Angelona Merkel, alla Hannover Messe, è arrivato un Obama a fine mandato a discutere di scottanti questioni, prima e prioritaria fra tutte il TTIP che, assieme allo speculare TTP, erano i due cardini della politica estera del Presidente USA. Se il TTP pone un cordone sanitario a contenere l' espansionismo cinese nel Pacifico, il Ttip cerca di limitare commercialmente oltre ai cinesi anche il gigante russo ora in difficoltà.  Ma più che l'imperialismo americano, legittimo come quello di tutti gli altri, sono i tempi di crisi nera dei profitti che sembrano farla da padrone su alcune scelte che la Germania dovrà fare in tempi stretti. In Ucraina come altrove la situazione può evolversi molto velocemente.

Le questioni sono tutt' altro che chiare: secondo un sondaggio della Bertelsmann Stiftung, il sostegno dei tedeschi a favore del Ttip -il trattato transatlantico di libero scambio- e del libero scambio in generale è crollato in due anni rispettivamente dal 55% al 34% e dall’88% al 56%. Questo la dice lunga sulla posizione scomoda di una Angela Merkel che si deve barcamenare tra una sempre meno scontata fedeltà atlantica, al netto di intercettazioni e big data, e una nuova collocazione europea e mondiale della sua Germania. E poi c'è la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, su cui l'indecisione è tanta.

Insomma un guaio dietro l'altro e, considerando anche le questioni più strettamente europee -debito dei paesi latini, brexit (una bufale propagandistica più che altro), polemiche con la BCE ecc- forse il progetto originario di kerneurope di Schäuble (un gruppo core di paesi allineati agli standard  economico sociali tedeschi, l’Europa del nocciolo duro, a cui far seguire, in quale modo non lo sanno, un serpentone di economie progressivamente meno virtuose) potrebbe essere l' unica via praticabile, dopo le elezioni politiche dell'anno prossimo. Eppure una soluzione come questa non raggiungerebbe assolutamente la massa critica di capitali necessaria per l' attuale livello della competizione mondiale. A Berlino lo sanno ma pare non  vogliano assumersi l'onere delle tensioni che la loro stessa proiezione economica internazionale suscita, aspirerebbero a rimanerne al riparo senza esporsi troppo.

Questo recente articolo di Fabrizio Maronta riassume bene i termini economici e politici dei due trattati transoceanici, ponendo l'accento sul calo impressionante degli investimenti diretti esteri (anche se recentemente c'è stata una piccola accelerazione) e del totale degli scambi commerciali. L' autore sintetizza la situazione nella frase: "L’uso del commercio in chiave geopolitica abbisogna di un presupposto fondamentale: che vi sia di che spendere". In realtà il presupposto è che vi sia da guadagnare.


1. Correva l'anno 2001, 11 dicembre. Esattamente tre mesi prima gli attentati di New York e Washington avevano innescato una catena di reazioni destinate ad alterare profondamente gli equilibri globali. Ma al Centro William Rappard di Ginevra, sede dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto nell’acronimo inglese), andava in scena un evento non meno gravido di conseguenze. Quel giorno la Cina diveniva ufficialmente il 143° Stato membro della Wto e un negoziatore europeo, evidentemente conscio dell’enormità del fatto, si chiedeva se fosse «la Cina a entrare nella Wto o la Wto ad aderire alla Cina».

domenica 3 aprile 2016

La fantomatica coscienza di classe (6)








trad: "cchiù pilu pe' tutti"


Farla finita con il valore di scambio e pure con quello d'uso, chè al Capitale quello che non l' ammazza l'ingrassa.

Olympe ha ben scritto: "la crisi toglie razionalità al Capitale" ma, interpretando più cautamente le questioni poste, con una iperbole (presa dal titolo di un saggio scrauso) "il capitalismo potrebbe avere i secoli contati". Proprio in virtù della sua natura di totalità oggettivizzata, sociale e astratta, in cui non c'è una testa da tagliare, il Capitale si espone alla trasformazione radicale e al contempo la nega come immediatamente storica: lo stesso rappresentarsi la rivoluzione sociale, se non proiettata  internazionalmente, appartiene al suo oscuro ventre ed in quanto tale ne ricalca le linee, mentre chiamo comunismo il processo che non alcuna radice nel maligno dominio del Capitale.

lunedì 28 marzo 2016

I fondi sovrani e la sindrome olandese

Cosa sono i fondi sovrani ? Se ne sente parlare a volte come gigantesche entità finanziarie che si muovono sui mercati alla ricerca di profitto e che muovono con loro le quotazioni di valute, indici e azioni. Tutto vero ma non finisce lì.  Il lungo estratto che segue (sforbiciato dal sottoscritto) ci spiega meglio la loro genesi e funzione e in particolare le loro correlazioni con le politiche monetarie e fiscali dei paesi che campano di rendita petrolifera.

Negli stati rentier, tramite l' azione dei fondi, si fa la scelta politica di affiancare alla rendita (petrolifera o mineraria) la rendita (finanziaria) e, pur diversificandole, non si sviluppano filiere per la produzione di nuove merci industriali, ovvero di plusvalore primario. Che è poi quello che costringe l' intera società a muoversi estesamente, sganciandola almeno in parte da chi invariabilmente amministra i proventi del oil export con la distribuzione di prebende. La tendenza a contrarre il male olandese* a mio modo di vedere rimane alta, così come -in tempi di alta volatilità- quella di sbagliare investimenti e di portare a casa ingenti perdite finanziarie. 

*Il “Dutch Disease” è stato quello dell’andamento dell’economia olandese a seguito della messa in produzione del grande giacimento a gas di Groningen. La sindrome è nota. La crescita improvvisa del settore energia si riflette in un declino del settore agricolo e di quello manifatturiero; il settore energia che cresce drena capitale dagli altri settori e ne aumenta i costi di produzione; le esportazioni in crescita rafforzano la moneta nazionale; il rafforzamento della moneta deprime la competitività internazionale delle produzioni interne di manufatti a vantaggio dei beni e delle merci importate; infine l' organizzatore statale si addormenta sugli allori delle abbondanti entrate fiscali e perde l' attenzione per i sempre nuovi imperativi posti dal andamento economico internazionale ---


I fondi sovrani (sovereign wealth funds, Swf), a discapito della loro crescente rilevanza, restano un oggetto relativamente misterioso. In generale, i fondi sovrani sono un gruppo eterogeneo di istituzioni finanziarie di proprietà pubblica che investono surplus fiscali o avanzi commerciali con logiche di accumulazione e diversificazione. Nello specifico, si tratta di fondi che originano principalmente dalle esportazioni delle commodities, in particolare petrolio e gas. Non a caso, buona parte dei fondi sovrani sono sorti in paesi e regioni del mondo ricche di risorse naturali quali il Golfo Persico, la Norvegia, la Russia ma anche la Malesia e il sultanato del Brunei. A fianco di questa prima categoria di fondi sovrani, vi sono quelli che non hanno origine dalla rendita delle risorse naturali, ma dalla capacità di penetrazione nei mercati esteri in una varietà di comparti differenti. Ne costituiscono esempi concreti i fondi dei grandi paesi esportatori come Cina, Singapore, Corea del Sud, e alcuni dei fondi di altri paesi emergenti.

sabato 26 marzo 2016

La faglia dell' Europa di mezzo



Continuo ad occuparmi dei punti di frizione su cui una non ancora nata Europa politica rischia di rivelarsi una gravidanza isterica. In questo articolo di Limes di febbraio si delinea bene il complesso intreccio di rapporti che fanno dell' Europa orientale, zona per secoli schiacciata ad est dalla pressione degli imperi (ottomano e russo) e la spinta imperialista dei paesi occidentali a capitalismo più evoluto (Germania, Francia, Italia per l'area balcanica), un possibile punto di caduta; in particolare in Ucraina dove Nato (con i contrapposti interessi intestini) e Russia si fronteggiano direttamente. Europa di mezzo, paesi, società civili, portati ad avere uno sguardo di levantino, mal celato disprezzo sia per gli invasori orientali che per i colonizzatori occidentali.

Questo il retaggio storico su cui però interagisce un fenomeno nuovo, non nuovissimo, che si chiama globalizzazione capitalistica. La formazione del mercato mondiale era quasi fatta ai tempi di Lenin, tant'è che egli stesso ci ha lasciato importantissime analisi in proposito. Poi questa evoluzione fu rimandata a ulteriore stagionatura dalle due guerre mondiali e dal crack del '29 (un unico match in tre riprese). Ma questi stessi eventi -in altri termini il periodo keynesiano che va dall' avvento delle dittature e il new deal fino alla fine della guerra fredda- si vede bene a posteriori  come, più che negarla, furono preparatori all' avvento di una più vasta e meglio compiuta integrazione dei vari mercati nazionali e regionali. Oggi, di ritorno, il frullatore della competizione globale scrive e riscrive tradizioni, costumi, identità e anche confini nazionali, teso com'è alla formazione di aree capitalisticamente, cioè socialmente, sempre più omogenee in concorrenza fra loro.---


Tra Mosca e Berlino qualcosa è tornato ad accendersi. Nello spazio racchiuso fra la Moscova e la Sprea, là dove la sbornia post-guerra fredda e l’ingenua euforia dell’allargamento europeo erano fino a poco fa moneta corrente, le potenze esterne all’area e gli stessi Stati che la costellano hanno innescato competizioni, rivalità, strategie di corteggiamento e di bilanciamento. In questo nuovo teatro di conflitto cozzano i progetti e le proiezioni di alcune grandi potenze che vi riverberano le tensioni reciproche maturate in altri scacchieri, intrecciandosi con le manipolazioni degli attori locali. L’innesco di una simile tettonica a zolle è dovuto a due eventi rivelatori di fenomeni di lungo periodo.