sabato 26 settembre 2015

La fantomatica coscienza di classe (1)

Una polemica piccina con un altro blogger mi induce a questa breve incursione sulla, oggi più che mai, fantomatica coscienza di classe proletaria, tralasciando per ora l' opposta coscienza di classe borghese, su cui magari torneremo. Ritorniamo ai dannati della terra e alla loro labile coscienza della possibilità della liberazione. Se ne parlò tanto e spesso tanto male poi più nulla. Vaporizzazione? Ingrottamento? Parlarne non vuol dire afferrare almeno concettualmente la cosa; come diceva un celebre pignolo: "ciò che è noto non è già perciò conosciuto".Vediamo come pone la questione un autore che sull' argomento ci ha perso il sonno: 
 [...]Questa coscienza non è  quindi né la somma né la media di ciò che pensano,sentono, ecc., i singoli individui che formano la classe. E tuttavia l'agire storicamente significativo della classe come totalità viene determinato, in ultima analisi, da questa coscienza, e non dal pensiero del singolo, ed è conoscibile soltanto a partire da essa.

La società è un intero -quand'anche le sue parti si muovono in maniera conflittuale e apparentemente autonoma  - ed unitario è il suo processo di sviluppo, ma alla coscienza psicologica dell’uomo essa è data come una pluralità di elementi indipendenti; la coscienza psicologica non è quindi in grado di cogliere la società come intero:
[...] Considerata dal punto di vista astrattamente formale, la coscienza di classe è dunque, al tempo stesso un' inconsapevolezza classisticamente determinata rispetto alla propria situazione economica storico-sociale
La coscienza di classe "è dunque una inconsapevolezza", come tale non sorge spontaneamente dalla condizione esistenziale dell' individuo atomizzato, anche se salariato, anche se maledice ogni giorno che dio manda in terra la propria posizione all'interno della struttura economica e sociale. Spontaneamente, e neanche sempre ma congiunturalmente, il proletariato percepisce unicamente la lotta immediata, tanto che:
 [...] Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza socialdemocratica. Essa poteva essere loro apportata soltanto dall'esterno. La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati [...] la politica tradunionista della classe operaia è precisamente la politica borghese della classe operaia
Qui ci si riferisce, vista la situazione storica in cui questa osservazione è stata fatta, all' intellettuale che fornisce gli strumenti metodologici al partito di classe, all' avanguardia che ha chiara l' antitesi irriducibile fra Capitale e lavoro. Ma oggi come ci potremmo porre noi proletari o proletarizzati, all' epoca della sussunzione totale, di fronte ad una questione che richiede grande sottigliezza teorica, che esclude analogie col passato, in assenza di una prassi politica effettiva? Sentiamo cosa dice un compagno:

[...] a mio avviso, la «coscienza di classe» rettamente intesa non è affatto il punto di vista del proletariato, né della classe operaia comunque intesa, ovvero di qualche altro strato sociale particolare; essa è piuttosto il punto di vista dell’uomo, che io declino concettualmente come sua attuale negazione e come sua reale possibilità. Questo perché l’utopia che informa la mia teoria (politica inclusa) non è la società dei proletari, o dei lavoratori, ma la comunità degli individui umanizzati. (Qui utopia sta, e mi scuso per la civetteria teologica, per idea che vuole farsi «carne e sangue»). Questa prospettiva può apparire sorprendente a chi ritiene che solo nel luogo immediato dello sfruttamento, fabbrica o rete che sia, può prodursi «coscienza rivoluzionaria»; un’idea che respingo proprio perché essa non conosce la mediazione concettuale e reale. Naturalmente questo non significa affatto ricusare la funzione storica che la materialità del dominio sociale assegna, per così dire, ai dominati, i quali proprio in quanto tali (cioè in quanto classe, nota mia) possono diventare soggetti di storia. Ma, appunto, è data la possibilità, non l’assoluta necessità, e proprio la storia del XX secolo ha dimostrato come il massimo della sofferenza può produrre il minimo di “coscienza”, perché l’hegeliano salto dialettico della quantità in qualità si dà con assoluta determinazione solo nel mondo della natura.

Quindi emerge la necessità di aggiungere elementi non immediatamente identitari alla determinazione della classe e della sua in sè coscienza, senza strizzare l' occhio all' ecumenismo interclassista che oggi, in tempi di crisi nera, esalta tanto gli e conquista i media. Chiudo con un ultima citazione :
 
A proposito di classe proletaria e del suo potenziale divenire
universale, preferisco la definizione negativa di classe che
distrugge se stessa, che distrugge le condizioni che la determinano
come proletaria, definizione anti-identitaria che presuppone
l’assenza di mistiche positive: missione storica del proletariato
con inevitabile ritorno "soggettivo" di  invidia ed odio di classe,
propedeutiche alla riproduzione del dominio.



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